Gesù, una grande folla che Gli si accalca attorno, che Lo segue, che Lo stringe da ogni parte; una donna che soffre senza speranza di guarigione di perdite di sangue (e il sangue è simbolo ancestrale di vita); un uomo la cui giovane figlia sta morendo, i discepoli: sono tutti costoro a dare forma alla meravigliosa pagina di Vangelo di questa domenica che riporta ben due miracoli.
Sono miracoli legati tra loro e il fatto che abbiano in comune il numero dodici – tanti sono, infatti, gli anni di malattia della donna e tanti quelli dell’età della figlia di Giairo – ce lo suggerisce bene.
In entrambi c’è una richiesta di guarigione profonda. C’è fede nel Signore che salva. Non c’è rabbia, ma amore.
L’amore, solo l’amore, pone l’uomo in sintonia con Dio, perché attinge dall’essenza stessa di Dio che è Amore.
Nella sua povertà, quando l’uomo si affida nella sincerità del cuore a Dio e chiede, chiede con insistenza, con fiducia sconfinata, con umiltà, viene ascoltato dal Padre.
Sempre.
A volte la risposta ha una forma non attesa, diversa, ma questo non importa a chi confida, perché sa bene che la sua vita è al sicuro nelle mani misericordiose del Signore.
Per noi non è facile capire questo, rinunciando alle nostre ferme e, il più delle volte, vane convinzioni, fondate sulla mentalità di uomini del mondo anziché di figli di Dio, come è stato per coloro che nella casa di Giairo si facevano beffe delle parole del Signore.
Forse non è stato immediato nemmeno per i discepoli, tant’è che solo tre di loro sono stati resi partecipi da Gesù dei momenti più straordinari, quelli in cui il “Cielo diventava visibile”, come nella casa di Giairo, come sarà sul monte Tabor.
Noi abbiamo bisogno di “toccare” Gesù. Solo “toccando” Lui abbiamo la Vita.
Consapevoli del nostro profondo bisogno di guarigione, prima di tutto interiore, con decisione nella vita tendiamo con tutte le nostre forze a voler “toccare” Gesù, nella preghiera, nei sacramenti, nella carità, e a lasciarci “toccare” da Lui.
E la Vita e la Gioia saranno in noi.