Fosse stato per lui, sarebbe rimasto ancora com’era ridotto al passaggio di
Cristo. Fu per la cura di qualche amico o di qualche conoscente che quell’uomo
si trovò di fronte al Cristo dei Vangeli: «Gli portarono un sordomuto». Di più: «Lo
pregarono di imporgli le mani». Non arriviamo mai a Cristo da soli: siamo
sempre (so)spinti da qualcuno. C’è sempre un qualcuno che, accarezzandoci le
ferite, ci prende in braccio per portarci alla salvezza, oltreché alla guarigione. Di
suo, quell’uomo sordo (dunque anche muto, sordomuto per l’appunto) ci mette
il fatto d’essere ammalato. Di fidarsi e di affidarsi agli amici che, forse, gli
avranno detto: “Prima d’arrenderti del tutto, aspetta. Proviamo l’ultima volta,
fidati: è che, di solito, sai com’è: è l’ultima chiave del mazzo quella che apre la
porta”. Non potrà mai essere un incontro sentire citare il Vangelo o ascoltare,
anche per ore e ore, chi ti parla dei pensieri che il Vangelo suscita nella sua
anima. Questo, al massimo, è partecipare ad una recita che prende spunto da
una suggestione religiosa. Un incontro è possibile se c’è un avvenimento nel
quale t’imbatti: può essere una persona, anche, ma a colpirti non è tanto la
parola che gli esce dalla bocca ma il cambiamento avvenuto in colui che ti sta
parlando. Che accende il tuo cuore, la tua curiosità. E ti fidi: “Va bene, mi fido:
andiamo”. «Gli portarono». Non ci va con le sue gambe ma tra le braccia degli
amici. Che non dimenticherà mai più: i più dimenticano con chi han fatto festa,
hanno scherzato, riso, fatto gli intrallazzi. Non dimenticheranno mai, però, come
li hai fatti sentire nel momento del loro bisogno. Chi trova un amico, dunque,
trova la traccia del grande tesoro.
Poi si spostano. È Cristo che si sposta: «Lo prese in disparte». Perché per certi
rammendi è necessaria la giusta intimità, una doverosa privacy, il rispetto della
vergogna di chi sta male. Oggi che di riservato sono rimaste solamente le
prognosi – e molti più tavoli “riservati” che persone capaci di riservatezza – certi
gesti del Cristo mi suonano d’un fascino irresistibile. Diventano la magna charta
delle persone riservate: quelle ti faranno sempre sudare ogni singolo centimetro
di confidenza, ma una volta che ci metti piedi dentro, non ne uscirai più. E se ne uscirai, non ne uscirai come sei entrato. Poi, quand’è a tu per tu, Cristo opera a
viso scoperto: «Gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua:
guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: “Apriti”». Nulla c’è,
nel mondo, capace di resistere ad un tocco del Cristo. Che, da figlio di artigiani,
fa diventare anche la salvezza un fatto prettamente artigianale: il porre le dita, lo
spalmare la saliva, l’emettere un sospiro. L’opera è compiuta, il miracolo è
avvenuto: «Subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e
parlava correttamente». L’uomo che prima farfugliava – si è muti perché si è
sordi -, adesso sente la lingua guizzargli come avesse un’anguilla in bocca. Ma, a
guarigione avvenuta, Cristo non soltanto non chiede compensi ma implora la
riservatezza massima: non è tra quelli che vogliono la riservatezza ma fanno di
tutto per apparire. Per lui una guarigione è un “a tu per tu” che va protetto a
tutti i costi: «Comandò loro di non dirlo a nessuno». Questo è ciò che chiede Lui.
Otterrà l’esatto contrario: «Più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano».
Figurarsi se quel sordomuto, appena ritrova la forza delle sue parole, accetterà
di stare (ancora) muto come gli chiede Dio. Lui, con gli amici suoi, va gridando a
tutti quanto è bello parlare, ascoltare, vivere. A chi gli chiede lumi, risponde: “Ha
fatto tutto Lui, di mio ci ho messo solo la coscienza di essere malato. Di avere
bisogno”. Mica poco: resterà il primo sintomo di guarigione. Per quanto riguarda
l’invito a rimanere zitto, anche Cristo sapeva di chiedergli l’assurdo: se alle ferite
tu darai il giusto tempo di guarire, togliere poi la crosticina davanti a tutti
diventa piacevole.
Una sorta di testimonianza pubblica: della tua vocazione di salvato.
A cura di don Marco Pozza, 20 anni di ministero, cappellano del carcere Due Palazzi